Miami? No no, Maiemi

Miami, 31 gennaio 2015

 E così eccomi qui di nuovo in ripartenza, una settimana è passata e non ho concluso niente se non sforare il tetto massimo della carta di credito. Mannaggia, e per fortuna che non sono una patita dello shopping, ma qui come fai a non comprare… trovi delle cose fantastiche ed irrinunciabili a prezzi ridicoli… Abbigliamento nemmeno tanto, sono le cazzate che attirano la mia attenzione, e ogni volta riparto con la valigia più pesante di svariati kg. Fanculovà.
E poi non è vero che non ho concluso niente: ho guardato e ho raccolto una quantità di informazioni piuttosto rilevante, ora devo elaborare i dati ed entro breve sputare un responso. Mah. Il potenziale c’è tutto, è la voglia che non è al massimo livello.
Qui si vive bene, non c’è niente da dire. E’ la terza volta che vengo e non posso che confermare che la vita può essere facile, la gente può essere gentile e sorridente col prossimo e non per forza incazzosa ed ingastrita, le cose possono funzionare e tutte le transazioni possono essere portate a termine senza tentativi di fregatura. Sembra impossibile per noi Italiani ma è proprio così, qui è un altro pianeta, qui non è il cattivo che diventa il furbo, qui il cattivo resta e rimane additato dalla gente quale lo stronzo e quindi nessuno tenta di fregarti, nemmeno se sei un turista, anzi...
Il traffico mi impressiona ogni volta: ci metto lo stesso tempo ad attraversare tutta Fort Lauderdale in pieno orario di punta che ad andare dalla Pedagna (quartiere residenziale di Imola) alla zona industriale.
I commessi, le cassiere, gli inservienti… tutti sorridono, se chiedi un’informazione ti rispondono con gentilezza, se sei in difficoltà per qualsivoglia ragione ti vengono in soccorso, ma soprattutto quel che mi sconcerta di più di tutto il resto è il sorriso che hanno sempre, che non è una roba stampata sulla faccia ma viene proprio da dentro, lo vedi, ed è diverso dal sorriso caraibico (gli antillesi o ti aggrediscono a male parole o ridono come pazzi chiamandoti coi vezzeggiativi anche se non t’hanno mai visto, sorridere serenamente sono due parole sconosciute al loro vocabolario, o al limite vengono sostiuite da sorriso sornione e/o flemmatico; diversamente abbiamo i due estremi come dicevo poc’anzi: urlare incazzati o ridere sguaiatamente, spesso entrambe le cose nell’arco di 10 secondi, magari facendo anche il bis).
Dicevo: qui è bello, bellissimo, ci passerei volentieri qualche mese della mia vita. Ma venirci in pianta stabile non lo so, non lo sento molto mio questo posto. Invece Marin ricordo che già la prima volta lo sentii “casa”, e nonostante questo non ci pianterei le tende nemmeno lì.

Mah. Intanto andiamo ad imbarcarci su questo volo per Martinica, al momento penso solo che stasera mi vado a mangiare le ribbs dalla Paciarotta con Mario, e per il resto qualcosa succederà.

senza titolo perchè non mi viene niente

Bologna, 26 gennaio 2015

Di nuovo in aeroporto, destinazione sempre ovest: me ne vado a Miami a dare un’occhiatina ad un paio di cose che potrebbero essere interessanti, non esattamente nel settore nautico.
Comunque, questa stagione senza charter mi fa strano. E’ vero che l’ho scelta io perché volevo avere libertà di movimento senza vincoli, ma dopo solo pochi mesi devo purtroppo ammettere (a me stessa prima di tutti) che MI MANCA. Mi manca navigare, mi mancano i clienti, mi manca l’ambiente easy e spensierato che si respira durante un charter. Mi mancano perfino gli incazzi e gli scazzi per la disorganizzazione di alcune agenzie, la pioggia da ormeggio, il caldo asfissiante della cucina, le mosche e le zanzare, tutto mi manca. Forse non sono ancora pronta per mollare tutto questo. Comunque vado avanti, ho le fregole e devo in qualche modo calmarle.
In questo periodo di non imbarco sto lavorando un sacco sul mio futuro, sto guardando mille cose, sto preparando documenti per potenziali progetti interessanti, sto anche contattando gente che poi quando incontrerò non so nemmeno cos’ho da raccontargli, insomma sembro una matta. Sto aprendo cinquemila porte diverse in settori totalmente differenti, ed il bello è che non ho idea di quale soglia varcherò, soprattutto perché non ho idea di quante di queste porte si apriranno davvero oppure si sbarreranno davanti a me. Ma bisogna provarci.

Avevo pensato anche di accasarmi, idea subito accantonata non tanto per mio ripensamento quanto perché la controparte, cioè il diretto interessato è stato decisamente diretto nel comunicarmi il suo non interessamento alla faccenda. Ed onestamente penso anche che sia meglio così: un pensiero in meno. Tanto per non smentirmi.

Il popolo del vento




Le Marin, 10 gennaio 2015

Che poi non sono cose clamorose, sono cazzate, sono sciocchezze, ma sono queste le cose che mi fanno tanto amare questa vita: i miei amici, il mio “popolo di Marin”, altrimenti detto il popolo del vento visto che la maggior parte di questi personaggi li incontro anche in giro per il Mediterraneo d’estate. Il filo che ci lega tra noi e che ci fa legare subito con i nuovi arrivati, quelli che sono come noi e che condividono il comune destino di non appartenere a nessun luogo se non al mare stesso, e di non riuscire a coltivare legami con altre persone che non siano come noi. Cioè: legami sì, certo, tutti noi abbiamo una famiglia di origine e tutti noi vi siamo tremendamente affezionati, ma alla fine siamo tutti (ognuno col proprio vissuto) degli scappati di casa ed è solo tra di noi che riusciamo a capirci veramente, e non ci aspettiamo che i “terricoli” ci comprendano.
Io per esempio: penso di essere stata molto fortunata nella vita, ma proprio molto, moltissimo, un’esagerazione…. su un sacco di cose. Per esempio ogni volta che penso alla mia famiglia ho la presunzione di voler affermare che è certamente la famiglia più bella del mondo, magari siamo un po’ lontani e non ci vediamo spesso ma siamo meravigliosi e molto uniti anche se geograficamente sparpagliati. Ed è vero come dicono che nella vita scegli gli amici ma la famiglia te la appioppano e non puoi farci niente, e io allora rispondo che anche se mi avessero dato possibilità di scelta io avrei scelto proprio la famiglia in cui sono capitata, e non ne cambierei nessun elemento: dai parenti di primo grado a quelli un po’ più lontani li rivorrei tutti esattamente come sono e l’unico mio cruccio è di non riuscire a frequentarli di più, e spesso ne sento la mancanza.
Ma ho anche una seconda famiglia: il mio popolo del vento. Nessun legame di sangue ma un fortissimo legame di spirito come dicevo poc’anzi. E sono molto, molto, molto orgogliosa di farne parte.
con l'ammiraglio e la criceta in visita
Questi sono i giorni più belli dell’anno: finito il charter di Capodanno siamo tutti qui a tirare il fiato, non ci sono più clienti e questo è il nostro tempo, il nostro riposo, siamo noi. Io negli ultimi anni presa dalla frenesia di dover lavorare a testa bassa per poter risolvere un paio di cose di carattere strettamente monetario avevo un po’ perso di vista quello che era il mio obiettivo principale nella vita, e quest’anno che la sto prendendo più easy e ho rifiutato i charter proposti sto riscoprendo il piacere di vivere la mia seconda famiglia, quella d’oltreoceano. Rido, sono serena, sono felice. Non abbiamo orari, non abbiamo obblighi, non abbiamo impegni, dobbiamo solo vivere. E non facciamo mica niente di speciale sapete, anzi non concludiamo proprio una fava tutto il giorno, ma che vita intensa, io sono in carenza di sonno ed overdose di caffè. E nemmeno che facciamo festa, no, il massimo di balotta è trovarci a cena sulla barca di qualcuno e sparare stronzate almeno fino alle 10 di sera (che se no qui alle 8 si dorme), e poi incontrarsi il mattino in “ufficio” (l’internet cafè), spararne altre due, far arrivare il pomeriggio in qualche modo e tirare sera.
amici vecchi e nuovi
Si ride. Quest’anno poi manco a farlo apposta ci sono tutti “i miei”, anche quelli che mancavano da tanto tempo, e me la sto godendo alla stra-grande, vivo ogni momento con un’intensità che in altri periodi me la sogno. Niente di speciale ripeto, solo tante tante tante risate ed il piacere di stare insieme… ma soprattutto di esserci, noi, in questo momento ed in questo luogo.
Sono ospitata da un amico in barca, uno che conoscevo un pochino ma non molto, ci siamo sempre visti di sfuggita e non ho nemmeno avuto bisogno di chiedergli se mi prendeva: si è proposto lui di ospitarmi. E con noi ci sono altri due amici. E gli altri che passano in continuazione. Mi sembrano tornati i tempi del Flying Cloud, compreso l’ammiraglio che fa sempre le veci del Sindaco di Le Marin e poi lo chiami perché non lo vedi da alcune ore e lui ti risponde “mah, sono qui in barca che stiro mentre guardo la tv” (????), e comprese le cene improvvisate “andiamo tutti da Antonio a mangiare la pizza!!!” pur sapendo che andandoci in tanti la cosa tirerà per le lunghe ma chissenefrega anzi almeno prolunghiamo la serata, e stasera c’è anche un tipo nuovo, uno simpatico dall’aspetto piuttosto aristocratico ed infatti subito ribattezzato
"un colpo di macete non si nega a nessuno"

 El Sior Conte ma si mescola volentieri con noi selvaggi anche se poi quell’altro che a pranzo si è mangiato un non ben identificato pesce trovato incagliato in una nassa inizia a star male, e a tavola si parla di cagotto oltre che i soliti commenti ai clienti che ti vomitano addosso nei canali, e quell’altro che entra nel furgoncino e ti dice “che bello, proprio come quando andavamo a rapinare le banche, ti ricordi Vaifra che bei tempi? Ce l’hai la calza da metterci in testa? Ma posso scoreggiare?” e tu pensi chissà che idea si fa il Conte di noi tutti, machissenefrega, e poi ancora seduti a tavola via la corsa in ospedale perché quello del pesce sta male proprio, la dottoressa che dice tranquilli sopravviverà e allora non riesci a trattenerti e riprendi a sparar cazzate ridendo sguaiatamente nell’ambulatorio finchè la dottoressa si scoccia e pare quasi che presenti il conto di tanta deficienza al malato usando una siringa da bovino per iniettargli una dose minima di antispastico, e ancora giù a ridere, e poi il giorno dopo ti ritrovi a fare il riso in bianco per il malato ma poi giri le spalle e quello ti si spara una scatola di biscotti al cioccolato e dice “mah… a dire il vero ho ancora un po’ mal di pancia”; salvo due giorni dopo riportarlo dal medico che se lo tiene in ospedale proprio, ma tranquilli tutti perché come dice l’Ammiraglio nella peggiore delle ipotesi il cimitero è a 300 mt quindi spendiamo anche poco per il funerale, l’unica cosa un po’ costosa sarà la cella frigorifera per tenerlo fino al ritorno degli altri che se no pare brutto non fare nemmeno un minimo di corteo e dopo dicono i soliti italiani pezzenti… Il tutto per sdrammatizzare il ricovero, che poi non è nulla di grave ma è solo che qui fanno così, e almeno spezziamo la tensione di sapere che uno di noi è in ospedale.
amici-ici

Insomma si ridre, si passano giornate così, molto intense, vissute veramente appieno. Amo questi giorni, amo il mio popolo del vento, e quest’anno poi che finalmente non sono più l’unica donna stanziale ma si è confermata pure Sara sto talmente bene, sono talmente serena che mi chiedo cosa mi sia mai balenato per la testa di prendere il volo di rientro il 10 gennaio. Pazza. Ma vado, certo che vado, perché voglio approfittare di questo momento per me così easy e così ricettiva per godermi anche la mia famiglia di origine, sono dello spirito giusto e non ho grandi cose da fare, non ho programmi e voglio farmi un po’ la vita stanziale e terricola anche quella come questa fatta di piccole cose, ma sono quelle cose che tanto amo: un pranzo in famiglia, un caffè con un’amica, un incontro al supermercato, insomma ste cose qui.
tender trip
Per la cronaca: il paziente ospedalizzato sta bene, brontola che gli danno poco da mangiare ma lo stanno trattando con tutti i riguardi, in più gli hanno dato la camera vista mare e può vedere la sua barca dalla finestra. Ora gli porto un sudoku e poi vado in aeroporto.

Come la pallina del flipper



Le Marin, 08 gennaio 2015

A me una pallina nel flipper mi fa un baffo: da un po’ di tempo in qua non so bene cosa voglio fare nel mio futuro più immediato. Come già detto e ridetto ho fatto apposta a non programmarmi oltre gennaio per spronarmi a muovere il culo. Ci siamo. Merda, ci siamo proprio, e io ancora non so dove sarò di qui ad una settimana. Sto passando le ore a cercare voli aerei per destinazioni le più disparate, motivazioni dalla vacanza al lavoro fisso con tutto quel che ci passa in mezzo, obiettivi… ma che c’è bisogno di obiettivi per forza? troppi cantieri aperti, troppo entusiasmo per troppe cose in settori troppo diversi, troppe mezze parole in giro. E così ogni imput che mi arriva dall’esterno diventa il mio obiettivo primario… per circa 5 minuti... giusto il tempo di ricevere un altro imput e cambiare radicalmente idea.
Allora ho deciso di non prendere decisioni…. Qualcosa succederà.

Donna senza valigia - homeless



Le Marin, 07 gennaio 2015

Argomento: alloggio per l’inverno. Per una volta in 10 anni che ero organizzata già da casa ed ero tutta contenta di non dover impazzire per trovare un cavolo di mezzo metro quadro “mio” dove appoggiare le valigie e le ossa tra un charter e l’altro, quest’anno mi è successa l’apoteosi del vagabondaggio.

Spiego: dovevo fare guardianaggio ad una barca italiana qui in pontile. Poi dovevo essere di ritorno dalla traversata ai primi di dicembre quindi quando sono stata qui ad ottobre ho lasciato la valigia con i vestiti estivi e le mie 4 enormi sacche di attrezzatura charter sulla barca. Ma surprise: la traversata ha tardato moltissimo, sono arrivata il 23 dicembre e…. la barca non c’era più… era partita 3 ore prima del mio ingresso in porto! Durante la mia assenza l’armatore ha trovato da noleggiarla e si è dimenticato di informarmene, nonostante io lo tenessi costantemente aggiornato sul mio ritardo. E lo skipper che è salito a bordo non ha realizzato che forse tutta quella roba da cucina e quella valigia di indumenti femminili (dentro la quale c’erano anche i miei nuovissimi 1.000 biglietti da visita nemmeno imbustati) erano roba mia… e non ha pensato di smollarla a qualcuno degli altri 3.000 amici comuni che stavano aspettando da un giorno all’altro il mio arrivo. E la barca non andava nemmeno alle Grenadine ma in Guadalupa, e non torna nemmeno più in Martinica.

Bene.

Il lato buono è che se di solito non sapevo dove appoggiare la valigia, almeno stavolta non avevo valigia da appoggiare.

Ma tutto è bene ciò che finisce bene: un’anima sensibile che doveva recarsi in Guadalupa ha recuperato la valigia (c’erano anche dei documenti importanti all’interno) e l’ha spedita in Martinica dove il fedele mio Ammiraglio l’ha ritirata durante la mia assenza per charter. E quell’altra gentile persona della Sara mi ha prestato magliette e pantaloncini degni del charter che dovevo fare, che se no in braghini a fiori e canotte multicolor non sarei stata proprio per niente idonea al luxury level richiesto.

Comunque tutto è bene ciò che finisce bene: sono di nuovo in possesso delle cose importanti, il resto erano solo oggetti. Certo mi scoccia da morire perché era comunque la mia attrezzatura messa insieme ed organizzata nel corso degli anni, ma anche questo avvenimento lo prendo come un segnale e me ne frego…. Ripeto: erano solo fucking-oggetti ma….una domanda mi sorge spontanea: rivedere il dosaggio di certe sostanze illecite magari?

nulla per caso

Le Marin, 05 gennaio 2015

A volte dall’altro riceviamo dei segni. Io da un annetto a questa parte ne sto ricevendo talmente tanti che pensavo di assumere una segretaria per cercare di mettere un po’ d’ordine perché io da sola non ci capisco più niente, ho perfino aperto un foglio excel ma non hanno ancora inventato un tipo di grafico giusto che possa rappresentarli e schematizzarli. Allora faccio quel che mi pare.

Anche il fatto di aver avuto problemi con la carta di credito quando dovevo prenotare il volo per venire in Martinica era un segno, e non l’ho voluto ascoltare. Capire l’avevo capito ma me ne sono fregata e sono andata avanti lo stesso. Avessi aspettato tre giorni avrei risparmiato un sacco di soldi, ma al momento di riservare non sapevo che poi mi avrebbero proposto di traversare in barca. Che uno dice “bello sbattimento farti un viaggio del genere per stare ai caraibi 10 giorni, di cui 7 a lavorare per coprire la spesa del volo stesso”. E la traversata, col cambio equipaggio che mi ha scombussolato l’esistenza; e poi il ritardo mondiale che mi fa arrivare esattamente 3 ore (dico TRE ORE, non tre settimane) troppo tardi per poter recuperare le mie cose lasciate su una barca ad ottobre, e perdo così tutta la mia attrezzatura da charter racimolata ed organizzata nel corso di 10 anni; e poi il charter con lo skipper stordito, che mi permette di prendere le redini della situazione e fare così quel che mi pare; e poi il ritorno tutti in fila creando un gruppo whatsapp di “info meteo ritorno in Martinica” dove chi è in testa al gruppo informa in tempo reale tutti gli altri sullo stato del vento e del mare (pessimo come sempre in questo periodo, le famose lavatrici con la centrifuga a 1.200 giri, che arrivi su a dir poco spettinato).

Tutto ha una logica, tutto ha un motivo. Stare qui 3 giorni ad ottobre mi ha permesso di incontrare qualcuno che un anno fa mi aveva trattato a pesci in faccia aggredendomi in malo modo ed accusandomi delle peggiori nefandezze, poi è vero che si era scusato ma la ferita che mi aveva causato era molto profonda, talmente profonda che pur accettando le scuse non ero più stata capace di contattare questa persona nemmeno per un saluto… e dire che prima eravamo ad un livello di confidenza quasi simbiotico. L’incontro casuale in ottobre, una sua richiesta di un favore, il favore fatto volentieri e con il cuore, la crociera di capodanno dove ci trovavamo sempre ancorati a pochi metri di distanza, i suoi clienti simpatici e carini che mi accoglievano sempre a bordo con un sorriso, gli aggiornamenti sulle ultime vicende di cuore, i consigli, le paranoie, gli imperativi, i “non cambierai mai, sei una testa dura di merda”, e poi una navigazione nel canale in assistenza remota “mezzochilo dorme, io ho questo vento con questo angolo, due mani alla randa e senza fiocco, prua a tot… cosa faccio?”. Ecco, allora capisci che anche se non sai ancora se resterai/tornerai in Martinica, hai fatto bene a venirci quest’anno anche se non avresti voluto e quando hai prenotato l’hai fatto pensando che era solo lavoro, e hai fatto bene a starci quei tre giorni in ottobre perché comunque hai fatto pace con questa isola ed i suoi abitanti, stavolta davvero, e quindi anche se la lascerai rimarrà sempre l’isola del tuo cuore.



E comunque è il 5 gennaio e non so ancora dove sarò il 15 di questo stesso mese, non so nemmeno se sono pronta o no a cambiare vita di nuovo. Ma perché si vive una volta sola? A me non basta mica. 

confusion

Union Island, 03 gennaio 2015

Sbarcata la famigliola di capodanno, aspetto qui al bar Capitan mezzochilo (soprannome ispirato dalla quantità di materia che si fa nelle mutande ad ogni manovra) e poi si riparte per la Martinica. Il charter è andato bene, la crociera in generale è andata BENISSIMO. Nel senso: a bordo due palle incredibili con clienti non difficili ma noiosissimi, skipper che poverino di colpa non ne ha: semplicemente non si sa dosare, esagera col tabacco locale e si stronca in cabina, ma meglio così perché quando esce mi combina casini, ovviamente senza minimamente rendersi conto. Povero, mi fa quasi tenerezza.  Comunque dicevo benissimo perché era da tanti anni che non mi capitava una crociera così: è normale incontrare sempre amici-colleghi in giro per le isole, è il nostro lavoro, la nostra vita; ma erano anni che non mi capitava una concentrazione così, anche di Italiani che come sempre in questo periodo pullulano; ad ogni ancoraggio ne avevo almeno 5 o 6 intorno, e i miei clienti ormai non ci badavano nemmeno più a tutti sti tenderini che si avvicinavano e anzi li rendevo partecipi delle nostre cose: Francesco ha pescato un tonnetto, Marco ha un problema con la randa, Luca ha riparato il motore che ieri faceva capricci, Andrea oggi fa gli spaghetti alla carbonara, Stefano è passato a chiedere due carote ed in cambio ci offre un cocomero fresco. Si direbbero chiacchiere da condominio…

E come dicevo: non lo so se sono pronta a rinunciare a questo. Non le chiacchiere di condominio, no, è l’ambiente, è il fatto di esserci, di vivere questi posti e di farli vivere anche a persone sconosciute.
E così mi trovo con una ventina di ore di navigazione davanti a me senza troppo da fare e senza compagnia stimolante = obbligo di riflessione. Forse queste cose sarebbe meglio evitarle, soprattutto quando una non sa bene dove sarà di qui ad un paio di settimane; so solo di avere un volo per Parigi il 10 gennaio, e due voli da Parigi a Bologna in due giorni diversi, sceglierò all’ultimo quale dei due prendere (Sborona? No, scema. E’ diverso). Per la seconda volta nella mia vita mi sono tagliata il cordone ombelicale per forzarmi ad uscire dalla cosiddetta confort-zone e muovere le chiappe per scoprire altro, solo che non so proprio cosa fare: idee mille, progetti ottomila, entusiasmo a gogo per ogni proposta…però voglia di prendere decisioni non pervenuta. Sono di nuovo obbligata a fare i conti col cervello, e anche col cuore stavolta. Ebbene sì. Shithappens. Porca l’oca questa non ci voleva proprio. 1995, 2005, speravo di scamparmela per il 2015 invece sembra proprio che ci stia dentro fino al collo. Unica possibilità di salvezza: speriamo che non si faccia mai più vivo, almeno lo etichetto come l’ennesimo stronzo e vado avanti per la mia.


Ecco mezza calzetta, se dice “andiamo via immediatamente veloci come fulmini senza perdere un altro minuto” significa che nel giro di due, massimo tre ore ci alziamo da queste sedie del bar, se dice “andiamo con calma tanto non abbiamo fretta” allora probabilmente perderò il volo di cui sopra.